Cinzia TH Torrini, regista

Roma, il Cinema ed Io… (appunti di lavoro)
a cura di Sergio Illuminato, edito nel 1993 dal Quotidiano Paese Sera

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CINZIA TH TORRINI, regista

Faccio cinema per una pulce che un misterioso signore mi mise nell’orecchio tanti anni fa. Lo incontrai in ospedale, ero andata a trovare mio fratello. Quel signore era molto solo, aveva un buffo aspetto: rapato e rasato; ma era uno cli quelli che attaccano facilmente discorso, come sono un po’ i romani. Mi chiese cosa facessi e gli risposi che studiavo lingue, ma che il mio sogno era la fotografia. “Ah! fammi vedere le tue foto, allora”, mi disse con entusiasmo. Il giorno dopo mi presentai con pacchi di fotografie, stampate e sviluppate con le mie mani. “Tu devi fare il Centro Sperimentale di Cinematografia’, mi disse convinto; “e che cos’è?”, “una scuola di cinema a Roma”.
Quel signore era Diego Carlisi, il padre di Olimpia Carlisi, e si era offerto di darmi un aiuto per entrare al centro. Lo dissi subito a mio padre che. però non mostrò alcun interesse, anzi, smontando il mio entusiasmo, sentenziò: “Te, a Roma, mai!’; già mi vedeva perduta nella capitale.
Io invece, avevo deciso di aspettare l’Uscita dall’ospedale di Diego Carlisi. Il destino volle però che morisse. di lì a poco per un infarto. Comunque, ormai il seme era stato gettato, adesso bisognava trovare il modo di aggirare il divieto di mio padre. Decisi di andare a studiare lingue in Germania, dove, mi ero informata, c’era una prestigiosa scuola di cinema. Provai ad entrarci, fui ammessa, imparai il tedesco e ci rimasi sei anni. Venne il momento del saggio di diploma ed era mia intenzione fare qualcosa di originale rispetto ai miei colleghi, ma soprattutto, trovare il modo di entrare in contatto con Roma. Chiesi allora di occuparmi della sezione documentaristica ed in particolare di poter fare delle ricerche al Centro sperimentale di Cinematografia di Roma. Ce la feci, la domanda fu accolta ed io, finalmente, approdai a Roma! Dopo tanti anni in Germania la mia fantasia non ce la faceva più, avevo proprio bisogno di venire a Roma a respirare. L’emozione fu grandissima nel poter entrare a Cinecittà e sentire l’aria del cinema. Ero realmente emozionata, mi sentivo dentro le pellicole in bianco c nero che avevo studiato a scuola; pensavo, qui c’è stato Rossellini, De Sia, Visconti, Antonioni, Fellini.
Cinecittà rispecchiava profondamente tutti i film del suo passato che difficilmente sarebbero stati realizzabili altrove. Cominciai a visionare il materiale che la montatrice aveva preparato. Mi ricordo benissimo, per esempio, quello di Antonioni sul Po. Lo ricordo perché poi ho fatto un documentario sull’Arno, il mio fiume, è là che sono nata.
Quando ero in Germania sognavo di venire a Roma per fare un film neorealista, avevo in mente un cortometraggio in cui i protagonisti erano i componenti di una famiglia di truffatori. La mattina si preparavano come per andare a lavorare e invece andavano poi a fregare la gente, i turisti, con i mezzi e le fandonie più rocambolesche ed inverosimili possibili, insomma volevo rappresentare quella che era l’idea comune all’estero del romano ciarlone e accattone.
I primi tempi a Roma, invece, cominciai ad avvertire il vero sapore dei suoi quartieri, tipico della familiarità del sud. Mi piazzavo su un angolo di marciapiede e stavo là delle ore ad osservare ogni cosa, e degli episodi a cui assistevo ne facevo delle storie. In quel periodo, vivevo nel quartiere Donna Olimpia e la domenica mattina andavo a Villa Pamphili, nel parco trovavo gli omini che giocavano a carte, sul tavolino portato da casa, il caffè nel thermos e il picnic sul pled per tutta la famiglia.
Amo tantissimo anche i mercati di Roma, i bellissimi mercati di frutta e verdura, così ricchi di informazioni umane, mi danno l’idea di luoghi dove ancora sopravvive una vera comunicazione.
Poco alla volta ho conosciuto anche l’ambiente del cinema romano ed ho iniziato la mia gavetta frequentando moviole scaciate e sistemate sottoterra.
Il mio rapporto cinematografico con la città vera e propria si è, però, rivelato molto difficile: non riesco a rappresentarla, mi sfugge. Ho filmato Praga, il sud America con Hotel Colonial, Firenze, ma Roma sono riuscita solo ad usarla per la sua immagine internazionale che offre, mai a darne un segno preciso che la identifichi. La causa è anche tecnica e logistica., e poi Roma è una città fondamentalmente buia.
Di notte le cose belle che le appartengono potrebbero avere degli effetti visivi magnifici, anche romantici, ed invece è tutto molto, buio. Insomma, sarebbe meglio evitare di girare a Roma.
La città è stanca dell’attività cinematografica che l’ha coinvolta fino ad oggi, e se si avvicina ancora al cinema e solo perché vede un modo per fare parecchi soldi: non collabora, ma sfrutta. Altrove c’è maggior rispetto nei confronti del cinema, anche se blocchi il traffico; a Roma questo è impensabile, la città trae disturbo e malumore da tutto ciò.
Tornando a Cinecittà, la prima volta che la vidi mi sembrò immensa, adesso tutte le volte che ci vado trovo solo palazzoni condominiali che si avvicinano sempre più. A scuola Cinecittà era un mito. Dalla mia esperienza all’estero posso dire che i tecnici che ci lavorano sono veramente i migliori, purtroppo non sono riuscita ancora a girare in un teatro a Cinecittà e resta tutt’ora nei miei sogni farlo e poi penso che sia bene andarci con tanti soldi per avere tanti mezzi, sennò è inutile essere là, preferisco allora girare dal vero. Purtroppo, a Roma cerco di sopravvivere culturalmente, lottando contrò la mancanza di spazi dove poter incontrare persone impegnate anche in altre arti, come succedeva nelle vecchie trattorie di una volta.
C’è una piccola. eccezione: al Palazzo delle Esposizioni accadono delle cose, ma non basta. Servirebbe una specie di calamita, capace di attrarre attività diverse e facilitare l’incontro tra pittori, musicisti, i miei stessi colleghi; avessi più tempo organizzerei personalmente degli incontri dove potersi confrontare, dove poter vincere questa solitudine che ci attanaglia, per mancanza d’informazione, di comunicazione, di tempo. Ormai neanche la mondanità rappresenta più uno stimolo sufficiente a mobilitare persone di cultura.
Alla fine, mi ritrovo, come tanti altri, isolata. in una città che dopo Massenzio non è riuscita a proporre nessun’altra attività culturale che suggerisca se non un confronto, almeno una relazione. Mi resta il Mio lavoro che amo e che non ritengo affatto effimero. Ogni film rappresenta un pezzo di vita che non appartiene solo a chi lo fa, ma dove ognuno può ritrovare una sua identificazione. Per quanto mi riguarda, in ogni mio film costruisco sempre una parabola che alla fine del percorso prevede il riscatto, insomma uso lo spettacolo per fini morali. Chissà se anche Roma riuscirà a riscattarsi dal suo essere “amorale”. Forse basterebbe che ognuno di noi iniziasse a rompere questa catena d’inciviltà per vedere rinascere innanzitutto il rispetto per gli altri e con esso la vera natura di questa città, meglio paragonabile al rosso antico del Palatino o alle strade dell’Aventino.

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