Marco Risi, regista

Roma, il Cinema ed Io… (appunti di lavoro)
a cura di Sergio Illuminato, edito nel 1993 dal Quotidiano Paese Sera

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MARCO RISI, regista

A proposito di Roma mi viene in mente quello che Marcello Mastroianni ha detto: che pur di non girarci andrebbe a fare qualsiasi cosa e nei paesi più scomodi. Lui lo diceva forse per un senso di avventura, per non star fermo sempre nella stessa città.
Per quanto mi riguarda il film “Nel continente nero” l’ho girato in Africa anche per evadere da Roma; lo stesso vale per quelli fatti a Palermo. Lavorare a Roma è diventato veramente molto scomodo e non solo per il traffico, per il rumore, per i parcheggi, sono anni che si parla della metropolitana, se finisse il terrore di scavare a causa dei ruderi…
Girare dal vero a Roma due scene di un film in due posti diversi è quasi impossibile. Una volta nei film degli anni ’60 si potevano fare delle lunghe carrellate seguendo un’automobile che si spostava per le strade di Roma; adesso è impossibile, le macchine non si muovono più, rimangono bloccate, si finisce così con il fare sempre più film di quartiere: “Mignon è partita” è un film di quartiere, il Flaminio, “Verso sera” è girato ai Parioli. Se in alternativa vuoi andare a girare negli stabilimenti praticamente ormai c’è solo Cinecittà, con i suoi tempi lunghi, dai ritmi quasi statali, alle cinque di pomeriggio tutti staccano, se ti serve un oggetto devi compilare una sfilza di domande, insomma anche lì è diventato molto faticoso lavorare.
Questo è un lavoro che forse orari non dovrebbe averne, certo sindacalmente sono stati raggiunti grandi risultati per quanto riguarda gli straordinari, le giornate del sabato festive, ma quando hai bisogno di una certa cosa ad una certa ora, che fai? E poi a me fa rabbia vedere tre persone che reggono una scala e uno sopra che dipinge, e questo è un atteggiamento un po’ romano.
A Cinecittà non si gira più, più che altro si fanno i montaggi e i doppiaggi dei film, con dei tecnici comunque bravissimi, quasi unici. Quando facevo l’assistente volontario di mio zio l’aria che si respirava era diversa, interessante, non c’erano tutti quei palazzoni intorno che fanno sorgere problemi quando si vuole girare in esterni. Se dovessi scegliere tra Roma e Milano nonostante tutto sceglierei tutta la vita Roma.
È una città bellissima, anche se le parti vivibili devi proprio andartele a cercare, ogni tanto quando mi capita di lasciare la macchina e fare un percorso alternativo al solito scopro un vicolo meraviglioso, così tra tante cosacce, tra tanta puzza di macchine. Roma non è famosa per i cortili, ma a torto, ce ne sono di bellissimi, angoli, anfratti, nascondigli che in cuor mio spero non vengano scoperti da tutti.
Roma per quello che è, per il potenziale che esprime, per le cose che ha, è una delle città peggio illuminate del mondo; di notte nessuno dei monumenti, delle chiese, ha una luce adeguata, e fanno tristezza.
L’altra sera mi è capitato di passare per San Pietro, era tetro, grigio, molto brutto, tutto è un po’ cupo e malinconico. Vittorio Storaro ha fatto l’interessante proposta di affidare ai più bravi direttori di fotografia l’illuminazione di una piazza, di un monumento, ma ancora non se n’è fatto nulla.
Roma mi sembra un po’ abbandonata a sé stessa, sempre più provinciale; forse lo è sempre stata, ma una volta questa provincialità era la sua forza. Oggi invece la città si sta chiudendo in salotti miseri anche intellettualmente, sicuramente non è più il tempo dei Pasolini o dei Flaiano, teste perennemente in ebollizione. Non c’è più nessuno che ha tirato fuori delle cose interessanti da seguire; c’è qualcuno che s’arrabatta, ma nel complesso questo non sembra affatto un momento molto interessante per la cultura romana.
Il cinema è abbandonato a sé stesso, deve cavarsela da solo, quanti anni sono che aspettiamo la legge sul cinema? Roma e l’Italia politica non si sono mai preoccupate troppo del cinema, anzi alcune volte l’hanno visto un po’’ come un ostacolo alle loro mascalzonate, una cosa più da avversare che da difendere, mi viene in mente ”Ladri di biciclette”, un capolavoro! Fu considerato quasi un filmino, Andreotti disse che un film così era meglio non mandarlo in giro perché i panni sporchi andavano lavati in casa.
E poi mi vengono in mente film come ”Le mani sulla città” di Francesco. Rosi, erano film che davano fastidio; oggi c’è una tale predominante politica e affaristica che appiattisce tutto, una sottile censura ideologica che può essere molto pericolosa, si arriva così al discorso sulla televisione che ormai è uno dei produttori cinematografici più importanti d’Italia.
Non riesco a vedere grandi segnali se non di pigrizia e cialtroneria; forse nel mondo della musica e di certo cinema qualcosa sta accadendo, validi segnali che speriamo portino a qualcosa. In questa Roma pacioccona del “volemose bene”, diventata nel frattempo un po’ più dura e violenta, il cinema sta provando sicuramente a dire delle cose, di alcuni registi ho molta stima e simpatia. Moretti, per esempio, è uno che comunque dice ciò che pensa, e questo atteggiamento trova riscontro in un pubblico nel frattempo cambiato, migliorato, diventato più attento, più esigente; una volta si accontentava e si è accontentato talmente tanto che poi si è stufato, è diventato arrogante, soprattutto quello dei giovani che seguivano il film con le gambe sui sedili davanti e le cuffie dei walkman in testa. La gente non usciva molto volentieri anche perché le sale erano invase da queste bande.
Adesso mi sembra che ci sia un ritorno, un’attenzione maggiore, verso film considerati fino a qualche tempo fa difficili e di conseguenza disertati. Ora quei film si vanno a vedere anche grazie al ripristino di alcune sale che erano state lasciate morire. Il Quirinetta, per esempio, è diventata una sala frequentatissima, con film a volte un po’ difficili, ma di grande successo; poi c’è il Nuovo Sacher di Moretti e Barbagallo, ci sono il Capranichetta e il Mignon che fanno film di un certo tipo e funzionano. A parte questa. ventata di rinnovamento non posso fare a meno di notare che nell’ambiente del cinema romano, abbandonato l’affiatamento della Roma creativa dei tempi di mio padre, si sono affacciate, tra quelli della mia generazione, l’invidia, il rancore e la gelosia, per non parlare dell’accanimento con cui si seguono i risultati degli incassi. La sera della prima uscita del film, a mio padre arrivava una telefonata che diceva: “è andato bene”, “è andato male”; da allora lui comunque se ne disinteressava, certo se il film fosse andato male gli sarebbe dispiaciuto, ma finiva lì; oggi invece l’incasso è fondamentale, non solo il tuo, ma anche quello degli altri: quanto ha fatto questo, quanto quell’altro? È la televisione che ha inventato la smaniosa ricerca di audience. Mi piacerebbe invece che ci fosse un confronto maggiore, ogni tanto succede che ci si incontra, si dicono delle cose, ma con molta fatica, e poi a farti passare la voglia c’è il traffico che certo non aiuta ad uscire di casa. Prima c’era più scambio, la sera si usciva e si camminava per Via Veneto, in centro, si chiacchierava, si rideva. Ora questo accade molto meno, si formano magari dei gruppettini, che però rimangono isolati e non hanno neanche tanta voglia di aprire le loro porte.

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