Sergio Rubini, regista – attore

Roma, il Cinema ed Io… (appunti di lavoro)
a cura di Sergio Illuminato, edito nel 1993 dal Quotidiano Paese Sera

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SERGIO RUBINI, regista-attore

Quando nel ’78 sono arrivato a Roma, ho sentito in maniera palpabile l’aiuto, lo stimolò di una città che ti accetta, che non ti rifiuta, come accade in molte altre città specie del Nord. Roma è una vera metropoli che però ha saputo conservare qualcosa di paesano nel suo carattere, una forte dimensione umana: credo che questa qualità appartenga solo a lei.
La mia formazione artistica è avvenuta qui, finché sono rimasto in Puglia non ho fatto altro che nutrire, coltivare in me stesso l’interesse per il mondo dello spettacolo. Covavo il desiderio di venire a Roma e fare il concorso in Accademia, avevo pensato anche al C.S.C., ma in quel periodo era chiuso. Non è che avessi le idee molto chiare, credo che avrei provato ad entrare ovunque, se non fossi riuscito con l’Accademia, mi sarei iscritto al DAMS che mi sembrava comunque qualcosa di affine. Invece ce la feci, entrai in Accademia, e tempo due anni cominciai a lavorare.
Penso di avere conservato un buon rapporto con la mia terra d’origine, nel senso che mi piace tutto ciò che le appartiene, non vivendo li, l’amore che provo è puro, quasi platonico, è l’amore espresso nella sua forma migliore, non contaminato dalla frequentazione quotidiana.
Della mia terra ho un ricordo sano, pulito, evanescente, positivo. Ripeto, non sono andato via perché non mi piaceva stare lì, tutt’altro. Dentro me porto i ricordi, un certo modo di pensare, di rapportarmi al benessere che al Sud, in certi ambienti, è quasi una chimera. Penso in poche parole di essere sano, un provinciale che rimarrà tale per tutta la vita, ma così come sono felice di esserlo, al contempo, l’essere provinciale è l’unica cosa che magari non mi sarei portata dietro, l’essere provinciale. È una catena, un impedimento, è qualcosa che sicuramente inibisce.
Per tornare a Roma, sicuramente una sua peculiarità è il cinema, è la città del cinema, quel poco che si fa parte da qui. Ha però un difetto, la trovo poco legata al circuito internazionale della cultura. Lo è, ma di certo in maniera minore rispetto a città come Parigi, Londra o Berlino dove oggi più che mai si respira un clima davvero internazionale. Roma si è fermata, ma non penso che si possa davvero andare allo sbaraglio. Comunque, è una città che mi ha portato fortuna, il luogo dove ho potuto esprimere il mio potenziale creativo, per me è meravigliosa, non ho ambientato ancora nessuno dei miei film a Roma forse proprio perché mi è così caramente ospitale mentre finora ho preferito raccontare storie meglio accolte in scenari secondo me più ostili di quelli che offre questa città.
Il terreno fertile per la nascita dei miei lavori, è rappresentato dai rapporti interpersonali, ed in particolare quelli che intercorrono tra un uomo ed una donna. Da un po’ mi sento attratto, mi è venuta voglia di raccontare la famiglia, i rapporti all’interno della famiglia.
Raccontare una storia significa crescere insieme al lavoro, significa portare poi sullo schermo le trasformazioni che nell’arco, sempre lungo e complesso, della realizzazione del film subisci. È una verità che viaggia parallelamente alla storia, e ne supporta emotivamente il contenuto, la attualizza rendendola viva, di quella vita che lavorando si è espressa, con la speranza che poi il pubblico in sala sia interessato a ciò che hai fatto.
A proposito del pubblico mi. sembra si sia fatto più tristemente colto, si è assottigliato, lo dico con dispiacere perché il cinema nasce come un fenomeno popolare e deve necessariamente rimanere così, è solo una blanda consolazione vederlo più colto, le famiglie ai cinema non vanno più, la società corre verso la solitudine, la gente non prova più Il fascino dello stare insieme, preferisce rimanere in casa con tutti i confort che ci fanno comperare: la televisione, le video-cassette, la macchina per il ghiaccio, il cibo dal cinese; ed allora perché affrontare il traffico e tutto il resto per correre al cinema?
Oggi è difficile far diventare un film un fatto di costume, qualcuno ci riesce, forse facendo presa su meccanismi pii semplici come certa buona comicità, per esempio penso a Benigni che riesce a mobilitare le masse per i suoi film; comunque, quando riescono e sono visti dalle masse, incidono sul costume sociale, certo non incidono sulla psicologia, sulla memoria individuale, nel ritrovarsi guardando un film, però anche se superficialmente il cinema può incidere ancora sul sociale.
Della nuova cinematografia italiana mi piace prima di tutto il fatto che esiste una nuova generazione di registi.
Quello che rimprovero ai registi è un po’ di superficialità. Non so perché siamo superficiali, forse perché, a differenza delle vecchie generazioni di registi, noi non abbiamo fatto il ’68, io avevo 17 anni quando è stato-ammazzato Aldo Moro e quell’episodio rappresenta più o meno la fine di una protesta generazionale.
Noi siamo i figli degli anni ’80, gli anni dell’edonismo reaganiano, gli anni della stupidità, gli anni che stiamo cominciando a scontare, del finto benessere, dello yuppismo. C’è un libro in cui Veronesi definisce i trentenni “gli sfiorati” da tutto e da tutti.
Comunque, questa generazione di superficiali suo malgrado dovrà maturare; e quello che sta avvenendo oggi nel nostro paese farà in modo che i prossimi film siamo un po’ più profondi.
Della definizione neo-neorealista penso poco e quel poco non è neanche positivo; è un’etichetta, e come tale, per sua natura, è negativa, è un falso modo di sintetizzare un lavoro, una meditazione, una riflessione. Ritengo comunque che sia un’operazione unicamente giornalistica, non credo che tra I giovani autori ce ne sia qualcuno che si senta rappresentato nella definizione di neo-neorealista. Nel mio lavoro ripongo la speranza di poter continuare a farlo. Vivo sempre con la sensazione che di qui a poco tutto possa finire, e poi spero di poter continuare a fare dei film in cui mi riconosco, i film che voglio; penso che i film non si debba solo riuscire a farli, ma riuscire a fare quelli che vuoi fare. Troppe volte le leggi di mercato fanno sì che i film vengano trasformati già nel momento della sceneggiatura, poi nel cast, insomma spero di poter continuare a fare il mio lavorò con grande libertà.

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