Franco Speroni. La matrice performativa in Sergio Mario Illuminato

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Corpus-et-Vulnus è un progetto in senso ampio “performativo”, naturalmente complesso perché fatto di molte vie che si riallacciano, a tratti, tra loro.
Le molte vie sono le opere esposte, le riflessioni dell’autore che le accompagnano, i riferimenti al passato e al presente – Tàpies, Kiefer, Parmiggiani – e non ultimo il luogo espositivo dove tutto accade e si rigenera attraverso coloro che percorrono lo spazio dell’esposizione.
Ma complesso anche perché consapevole dei limiti funzionali che hanno le opere in quanto linguaggio simbolico rispetto alla fluidità dei processi che ci riguardano e ci coinvolgono.
I corpi, ha scritto Jean-Luc Nancy in Corpus, “sono sempre sul punto di partire, nell’imminenza di un movimento, di una caduta, di un allontanamento…” cioè non sono forme da fissare come architetture stabili, o nel senso della fisica classica particelle consistenti ma stati di movimenti potenziali e relativi.
In altre parole, i corpi abitano e i luoghi risentono degli abitanti.
Il “dispositivo”, termine che spesso ritorna nelle riflessioni di Sergio Mario Illuminato, è un meccanismo fatto, appunto, di più parti in relazione tra loro, non tanto in senso meccanicistico e quindi formale, frutto di composizioni e misure, ma parti che si ibridano per continuità. Il dispositivo, organismo complesso, è quindi alla base di un sentire che filtra tra i vari elementi: opere e luogo.
Tutto è strettamente connesso, tanto che il pensiero (forse bisognerebbe dire lo spirito) che circola tra i vari media (i quadri, il testo, il luogo) è il vero dispositivo senza forma definitiva, così come non ha forma definitiva la vita che del “corpus” e del “vulnus” è la materia prima.
Dalla relazione nasce l’idea di percorso espositivo come anche del percorso del pensiero che lo precede e vi abita.
Che “un buon pittore è interiormente pieno di figure” era una riflessione di Albrecht Dürer, ripresa da Salvatore Settis come esergo per un suo testo nel catalogo di Anselm Kiefer per la mostra a Palazzo Ducale a Venezia del 2022. Anche Kiefer ha sostenuto di pensare per immagini, aiutato dalla poesia.
Provando a diradare un po’ le nubi, insite nelle metafore, fare convergere media differenti è tipico della natura post-mediale del sentire contemporaneo, anche quando si tratta di pittura-pittura, come nel caso di Corpus-et-Vulnus.
Pittura, però, che ha bisogno di nutrirsi oltre la cornice della composizione, abitando un luogo forte, site-sensitive, come l’ex Carcere di Castello a Velletri, per mettere al “centro la condizione fragilissima della realtà umana”, scrive l’autore; dando forma ad un pensiero-matrice di processi, come quello di Nancy, per ingaggiare, infine, un dialogo rigenerante che si avvia nel momento espositivo.
Per questo, si può parlare anche di una sensibilità “performativa” aldilà della grammatica troppo stretta dei linguaggi, perché anche le opere possono funzionare come performer in un campo di relazioni da esse attivate.
Siamo stati abituati ad introiettare la pittura come una realtà sacrale insondabile ed autosufficiente, da guardare da lontano, quasi fosse un’isola dove non si può sbarcare.
Mentre “veder dipingere – sostiene William J.T. Mitchell nel suo Pictorial Turn – è veder toccare, vedere i gesti dell’artista, ecco perché – deduceva Mitchell – è proibito in modo tanto rigoroso toccare le tele”.
Lavorare sull’esposizione, invece, come fosse un racconto anche biografico che rende la posizione dell’autore in un campo problematico di relazioni, è un modo di svelare il lavoro facendone sentire il processo e quindi la vitalità.
I media visuali non esistono, ha sostenuto ancora Mitchell, volendo argomentare che non ci sono media “puri”, poiché i nostri sensi non possono agire in maniera autonoma, essendo noi dentro un corpo-organismo.
Corpus-et-Vulnus formano un organismo senziente e comunicante i cui segni non sono certo illustrazioni astratte di concetti ma concetti-matrice essi stessi, in quanto parti costitutive di un organismo vivente e proliferante.

Prof. Franco Speroni, scrittore, storico e critico d’arte, docente di storia di arte contemporanea e storia e metodologia della critica d’arte all’Accademia Belle Arti di Roma

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